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Psicoterapia e psicofarmaci
Normalmente, quando si pensa agli psicofarmaci si pensa alle persone con gravi turbe psichiche, ai cosiddetti “matti”, ai manicomi, a un disturbo mentale molto grave. Ancora oggi, i farmaci che riguardano la salute mentale sono demonizzati e vittime di vecchi retaggi culturali.
Molte persone sono reticenti nell’accettare una prescrizione farmacologica da parte di uno psichiatra, anche se questa migliorerebbe drasticamente la qualità di vita dei soggetti.
Spesso, nello svolgere il mio lavoro da psicoterapeuta, ritengo sia necessario, se non indispensabile, che il paziente sia d’accordo nell’affrontare una visita psichiatrica e ad accettare l’inizio di una terapia farmacologica. Questo perché, a volte, non è possibile fare un buon lavoro terapeutico se alcuni disturbi sono invalidanti, si pensi alla depressione maggiore oppure al disturbo da attacco di panico.
Credo che la poca conoscenza di questa categoria di farmaci sia alla base del rifiuto degli stessi, e della paura ad essi connessa.
L’importanza di affiancare l’assunzione del farmaco alla psicoterapia risiede in questa metafora:
il farmaco lavora come un taglia erba, fa il suo lavoro mantenendo il manto erboso sempre alla stessa altezza, ma non è in grado di estirpare alcune categorie di piante che continueranno a crescere, “tampona” una situazione mantenendola sotto controllo.
La terapia permette di estirpare la piantina, come un giardiniere che lavora insieme al suo strumento: il giardiniere è lo psicoterapeuta, il taglia erba è il farmaco.
Insomma, gli psicofarmaci hanno un’azione sintomatica piuttosto che causale: l’andamento del disturbo psichico risulta modificato più nelle sue manifestazioni esteriori che nelle dinamiche profonde.
Quindi, lo psicofarmaco agisce come qualsiasi altro farmaco, il suo obiettivo è ripristinare uno stato di benessere andando a ristabilire un equilibrio biochimico che è alterato; la psicoterapia agisce sugli eventi di vita che condizionano tali alterazioni.
Le principali categorie di farmaci sono:
- stabilizzatori del tono dell’umore
- antidepressivi: agiscono sul tono dell’umore che tendono ad elevare, sulle espressioni del pensiero che tendono a ravvivare, regolano il ritmo sonno-veglia, regolano le sensazioni di fame e sazietà (possono essere usati per trattare anche altri disturbi come i disturbi del comportamento alimentare, disturbo ossessivo-compulsivo)
- ansiolitici: riducono la tensione e l’agitazione
- antipsicotici: hanno un effetto antiallucinatorio, calmante, sedativo, stabilizzano il tono dell’umore, diminuiscono i comportamenti istintivi e aggressivi.
Dunque, gli psicofarmaci vengono impiegati per ridurre o eliminare alterazioni che sono causa di sofferenza soggettiva, di alterato funzionamento sociale, familiare, lavorativo. La psicoterapia permette di lavorare in sinergia con gli effetti dello psicofarmaco e un risultato auspicabile della terapia è la riduzione o la sospensione dell’assunzione del farmaco.
È fondamentale rivolgersi ad un professionista di fiducia, sia esso il medico di famiglia, lo psichiatra o lo psicoterapeuta, che sia in grado di fornire le giuste indicazioni sulla corretta presa in carico (a volte multidisciplinare che coinvolge più figure professionali) a seconda dell’entità del disturbo presentato dal paziente.
Concludendo, iniziare un percorso di psicoterapia non significa che si abbia la necessità di assumere psicofarmaci, ma in alcuni casi questi possono essere necessari.